Trimestrale dell'Associazione Donne Magistrato Italiane

giudicedonna.it

ANNO 11  - NUMERO 1/2025

A.D.M.I.



Sulla separazione delle carriere giudicante e requirente  

Separare e sorteggiare: riformare i principi costituzionali per indebolire la magistratura nel suo complesso
MARILISA D'AMICO
Sono anni che, a fasi alterne, la riforma costituzionale della magistratura e, in particolare, la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, viene invocata come soluzione ai problemi che riguardano soprattutto il rapporto fra giustizia e politica, con soluzioni varie, tutte discutibili. Come succede per la riforma costituzionale della forma di governo, che più o meno viene ripresentata ad ogni legislatura, si pensa, riformando la Costituzione, di risolvere magicamente problemi che attengono alla vita concreta delle istituzioni e alla loro cattiva interpretazione da parte di chi ne fa parte.
Da anni, quindi, si dibatte, in Parlamento, del tema della separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, con argomentazioni e impostazioni che vanno molto oltre le corrette ricostruzioni sul ragionevole rapporto fra un processo di tipo accusatorio, come è quello disegnato nella nostra Costituzione e attuato dalla riforma del codice di procedura penale del 1988, e il ruolo di “parte” del pubblico ministero, a cui poco si adattano una serie di norme attuali e anche la possibilità, per la verità ora molto ridotta dalle recenti riforme, di passaggi dalla funzione giudicante a quella requirente
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Nel corso della XIII legislatura, la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (c.d. Commissione D’Alema), istituita con l. cost. 24 gennaio 1997, n. 1, aveva approvato un articolato che prevedeva rilevanti modifiche – al netto della previsione di un unico concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria – relative al Consiglio superiore della magistratura, tra le quali si segnala la divisione dell’organo in due sezioni, una per i giudici e l’altra per i magistrati del pubblico ministero, ove la competenza di ciascuna sezione veniva disciplinata in Costituzione ...
Una pandemia contro lo Stato di diritto
ANIELLO NAPPI
Per qualche decennio la responsabilità del cosiddetto conflitto tra politica e giustizia è stata addebitata a una minoranza di magistrati, le cosiddette toghe rosse, accusate di strumentalizzare la giurisdizione contro gli avversari politici.
Questa ricostruzione del conflitto non metteva formalmente in discussione  la legittimazione della giurisdizione, ma pretendeva anzi di ribadirla e difenderla contro le presunte deviazioni di una minoranza, a tutela della stragrande maggioranza dei magistrati, di cui si proclamava la riconosciuta autonomia e  competenza.

Si trattava in realtà di un
comodo artificio comunicativo, inteso a delegittimare qualsiasi decisione sgradita senza assumersi la responsabilità politica di negare il ruolo autonomo e indipendente della giurisdizione.
Lo schema comunicativo, ribadito fino a poche settimane or sono anche dalla Presidente del Consiglio dei ministri, è entrato però in crisi dopo talune significative vicende di Francia e Stati Uniti d’America.
La condanna per peculato di Marine Le Pen, favorita nei sondaggi per le prossime elezioni presidenziali, ha determinato in Francia una reazione politica analoga a quelle ormai tradizionali in Italia, soprattutto per l’applicazione della sanzione accessoria dell’ineleggibilità per 5 anni.
Anche oltralpe si è gridato alla strumentalizzazione politica della giustizia, con argomenti ripresi e rilanciati dalle forze politiche italiane vicine al Rassemblement National.
In un documento pubblicato in Italia dalla rivista Sistema penale, l’American Bar Association (l’associazione degli avvocati statunitensi), ha denunciato che, da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca,
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Nella seduta pubblica del 15 maggio u.s. il Presidente del Senato,  nel richiamare il  calendario dei lavori approvato a maggioranza “la sera precedente” dalla Conferenza dei Capigruppo, ha comunicato  che  l’11 giugno  avrebbe avuto inizio in Aula  l’esame del disegno di legge costituzionale A.S. 1353, “anche se non concluso dalla Commissione”.

Questa  accelerazione su una riforma così importante,  che incide sui principi fondamentali della nostra carta costituzionale, ha sollevato proteste  tra  i senatori dell’opposizione, anche in relazione agli oltre 1.300 emendamenti che restavano da esaminare in Commissione. Ma ogni proposta di mediazione  per uno slittamento della data è stata respinta a maggioranza.

Per l’ANM si tratta di una forzatura che «comprime il dibattito e la discussione su una riforma che rischia di cambiare per sempre il volto della Costituzione».

Le riflessioni che seguono vogliono essere un contributo al dibattito in corso.

Gli artt. 104 e 107 della Costituzione e il disegno di legge costituzionale per la separazione delle carriere
RENATO ACQUARONE
Il 16 gennaio  2025 la Camera dei deputati ha approvato  in prima lettura il disegno di legge  costituzionale sulla separazione delle carriere (A.C. 1917 / 2024) con  174 voti favorevoli, 92 contrari e 5 astenuti, superando ampiamente la maggioranza richiesta di 134  voti.
In particolare, con il disegno di legge viene modificato il primo comma dell’art. 104 della Costituzione , nel senso che  alle parole “ La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, si è aggiunto “ed è composta dai magistrati della carriera giudicante  e della carriera requirente”,  magistrati che vengono così collocati sullo stesso piano.
Il primo comma dell’art. 107 viene  modificato sostituendo  “decisione del Consiglio superiore della magistratura”   con le parole  “ decisione del rispettivo Consiglio”.
Il nuovo testo diverrebbe il seguente:
“I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi  o funzioni se non in seguito a decisione del rispettivo Consiglio,  adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso” : ciò implica necessariamente che le garanzie valgono nei procedimenti di entrambi i Consigli. Fin qui nulla quaestio.

Restano quindi immutati gli altri commi dell’art. 107, ivi compreso il quarto ed ultimo che recita: “ Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi  dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.
A questo punto rischia di perpetuarsi un equivoco, non imputabile alla riforma Nordio, ma insito ab origine  nel testo della Carta fondamentale e mai eliminato.
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La giustizia tra la forza e la legge di Cesare Maccari

 

 

 

 

 

giudicedonna.it Rivista telematica Direttore responsabile: Antonietta Carestia
Registrazione presso il Tribunale di Roma n.15 del 2 febbraio 2015.  -       Pubb. 27.05.2025 Redazione:  Maria Acierno, Irene Ambrosi, Maria Teresa Covatta, Milena Falaschi, Maura La Terza, Valeria Montaruli, Donatella Salari, Irene Tricomi
 
 

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