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Sulla separazione delle carriere giudicante e
requirente
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Separare e sorteggiare: riformare i principi costituzionali per indebolire la magistratura nel suo complesso |
MARILISA D'AMICO |
Sono anni che, a fasi
alterne, la riforma
costituzionale della
magistratura e, in
particolare, la
separazione delle
carriere di giudici e
pubblici ministeri,
viene invocata come
soluzione ai problemi
che riguardano
soprattutto il rapporto
fra giustizia e
politica, con soluzioni
varie, tutte
discutibili. Come
succede per la riforma
costituzionale della
forma di governo, che
più o meno viene
ripresentata ad ogni
legislatura, si pensa,
riformando la
Costituzione, di
risolvere magicamente
problemi che attengono
alla vita concreta delle
istituzioni e alla loro
cattiva interpretazione
da parte di chi ne fa
parte. Da anni, quindi, si dibatte, in Parlamento, del tema della separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, con argomentazioni e impostazioni che vanno molto oltre le corrette ricostruzioni sul ragionevole rapporto fra un processo di tipo accusatorio, come è quello disegnato nella nostra Costituzione e attuato dalla riforma del codice di procedura penale del 1988, e il ruolo di “parte” del pubblico ministero, a cui poco si adattano una serie di norme attuali e anche la possibilità, per la verità ora molto ridotta dalle recenti riforme, di passaggi dalla funzione giudicante a quella requirente. Nel corso della XIII legislatura, la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (c.d. Commissione D’Alema), istituita con l. cost. 24 gennaio 1997, n. 1, aveva approvato un articolato che prevedeva rilevanti modifiche – al netto della previsione di un unico concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria – relative al Consiglio superiore della magistratura, tra le quali si segnala la divisione dell’organo in due sezioni, una per i giudici e l’altra per i magistrati del pubblico ministero, ove la competenza di ciascuna sezione veniva disciplinata in Costituzione ... |
Una pandemia contro lo Stato di diritto |
ANIELLO NAPPI |
Per qualche decennio la
responsabilità del
cosiddetto conflitto tra
politica e giustizia è
stata addebitata a una
minoranza di magistrati,
le cosiddette toghe
rosse, accusate di
strumentalizzare la
giurisdizione contro gli
avversari politici. Questa ricostruzione del conflitto non metteva formalmente in discussione la legittimazione della giurisdizione, ma pretendeva anzi di ribadirla e difenderla contro le presunte deviazioni di una minoranza, a tutela della stragrande maggioranza dei magistrati, di cui si proclamava la riconosciuta autonomia e competenza. Si trattava in realtà di un comodo artificio comunicativo, inteso a delegittimare qualsiasi decisione sgradita senza assumersi la responsabilità politica di negare il ruolo autonomo e indipendente della giurisdizione. Lo schema comunicativo, ribadito fino a poche settimane or sono anche dalla Presidente del Consiglio dei ministri, è entrato però in crisi dopo talune significative vicende di Francia e Stati Uniti d’America. La condanna per peculato di Marine Le Pen, favorita nei sondaggi per le prossime elezioni presidenziali, ha determinato in Francia una reazione politica analoga a quelle ormai tradizionali in Italia, soprattutto per l’applicazione della sanzione accessoria dell’ineleggibilità per 5 anni. Anche oltralpe si è gridato alla strumentalizzazione politica della giustizia, con argomenti ripresi e rilanciati dalle forze politiche italiane vicine al Rassemblement National. In un documento pubblicato in Italia dalla rivista Sistema penale, l’American Bar Association (l’associazione degli avvocati statunitensi), ha denunciato che, da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca, ... |
Nella seduta pubblica del 15 maggio u.s. il Presidente del Senato, nel richiamare il calendario dei lavori approvato a maggioranza “la sera precedente” dalla Conferenza dei Capigruppo, ha comunicato che l’11 giugno avrebbe avuto inizio in Aula l’esame del disegno di legge costituzionale A.S. 1353, “anche se non concluso dalla Commissione”. |
Questa accelerazione su una riforma così importante, che incide sui principi fondamentali della nostra carta costituzionale, ha sollevato proteste tra i senatori dell’opposizione, anche in relazione agli oltre 1.300 emendamenti che restavano da esaminare in Commissione. Ma ogni proposta di mediazione per uno slittamento della data è stata respinta a maggioranza. |
Per l’ANM si tratta di una forzatura che «comprime il dibattito e la discussione su una riforma che rischia di cambiare per sempre il volto della Costituzione». |
Le riflessioni che seguono vogliono essere un contributo al dibattito in corso. |
Gli artt. 104 e 107 della Costituzione e il disegno di legge costituzionale per la separazione delle carriere |
RENATO ACQUARONE |
Il 16
gennaio
2025 la Camera
dei deputati ha
approvato
in prima lettura
il disegno di legge
costituzionale
sulla separazione delle
carriere (A.C. 1917 /
2024) con
174 voti
favorevoli, 92 contrari
e 5 astenuti, superando
ampiamente la
maggioranza richiesta di
134
voti. In particolare, con il disegno di legge viene modificato il primo comma dell’art. 104 della Costituzione , nel senso che alle parole “ La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, si è aggiunto “ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”, magistrati che vengono così collocati sullo stesso piano. Il primo comma dell’art. 107 viene modificato sostituendo “decisione del Consiglio superiore della magistratura” con le parole “ decisione del rispettivo Consiglio”. Il nuovo testo diverrebbe il seguente: “I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del rispettivo Consiglio, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso” : ciò implica necessariamente che le garanzie valgono nei procedimenti di entrambi i Consigli. Fin qui nulla quaestio. Restano quindi immutati gli altri commi dell’art. 107, ivi compreso il quarto ed ultimo che recita: “ Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. A questo punto rischia di perpetuarsi un equivoco, non imputabile alla riforma Nordio, ma insito ab origine nel testo della Carta fondamentale e mai eliminato. ... |
La giustizia tra la forza e la legge di Cesare Maccari |
giudicedonna.it | Rivista telematica | Direttore responsabile: | Antonietta Carestia | |
Registrazione presso il Tribunale di Roma n.15 del 2 febbraio 2015. - Pubb. 27.05.2025 | Redazione: Maria Acierno, Irene Ambrosi, Maria Teresa Covatta, Milena Falaschi, Maura La Terza, Valeria Montaruli, Donatella Salari, Irene Tricomi | |||
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